Onorevoli Colleghi! - Nel corso degli anni '80 e '90 le università della terza età o degli anziani sono divenute una realtà significativa. Si parla di oltre 500 importanti enti o associazioni di questo tipo, a cui ne vanno senz'altro aggiunti molti altri, forse altrettanti, di consistenza minore. Sorte in gran parte per iniziativa privata, le università della terza età si reggono per lo più sul volontariato, di cui risentono, per ricchezza ideale, varietà di forme e precarietà.
      Oggi è necessario che le università della terza età, nel rispetto dei bisogni del territorio, maturino e trovino impostazione di fondo, finalità e metodologie comuni, così da diventare un vero servizio pubblico. Mentre in Francia sono emanazione delle università degli studi e in Germania attività universitarie vere e proprie, in Italia urge garantire l'utente della serietà delle proposte culturali, distinguendole da altre iniziative minori, pur degne di considerazione, finalizzate o alla socializzazione o a un aggiornamento senza sistematici approfondimenti.
      Si chiede pertanto che una legge in proposito garantisca un servizio culturale pubblico a beneficio dell'intera collettività e non faccia cadere le istituzioni in ambigue forme assistenziali.
      Oggi i bisogni delle persone anziane, all'indomani del pensionamento o della conclusione del ciclo materno, sono espressi in tre imperativi:

          recuperare significato sociale alla propria vita e attività;

 

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          acquisire capacità di assunzione di nuovi ruoli sociali;

          trovare istituzioni culturali a loro adatte, vere università della vita con la proposta di un sapere ricondotto al suo significato umano e sociale.

      Nel lontano 1930, lo psicanalista Karl Gustav Jung parlava della necessità di due tipi di scuola: la scuola che prepara alla vita e la scuola che approfondisce il modo di vivere. In tutto il mondo, diceva, si trovano scuole che preparano i giovani al lavoro, scuole essenzialmente del fare, dell'agire, dell'inserimento nel processo produttivo. Quando però uno è inserito nella società, continuava Jung, quando ha imparato questo «ABC», comincerà proprio allora ad aver bisogno di altre scuole molto più qualificate, che insegnino come vivere e come rendere umana la società. Sono quelli che hanno 40 anni ad aver bisogno di queste istituzioni per vivere la vita, per imparare a «essere», per svolgere un ruolo umanizzante nella società. Queste scuole non ci sono.
      Ai tempi di Jung era ovviamente impensabile una sistematica educazione degli adulti; ma neppure nella nostra società questa esiste, nonostante molto si sia parlato di educazione degli adulti, di istruzione permanente, di istruzione ricorrente. Oggi si ritiene tutt'al più necessaria l'educazione permanente, per adeguare le competenze del lavoratore ai cambiamenti strutturali. Si tratta però sempre di scuole «del fare». Noi dovremmo inventare altre scuole, accanto a queste, le quali aiutino le persone a vivere pienamente la loro esperienza di vita sociale, a rendere più umana la società, che si dimostra molto conflittuale, invivibile per certi aspetti.
      Per questo, la presente proposta di legge prevede una matrice culturale e scientifica e definisce i requisiti in modo da distinguere le università della terza età dalle generiche proposte culturali o di socializzazione (articolo 2), da assicurare nel pluralismo italiano la loro autonomia istituzionale (articolo 3), organizzativa (articolo 4) e finanziaria (articolo 5); precisa inoltre la loro matrice istituzionale e al tempo stesso territoriale, assegnando alle regioni funzioni di riconoscimento e di controllo (articoli 6 e 7); infine, riconosce a tali istituzioni la qualità di organizzazioni non lucrative di utilità sociale (articolo 10).

 

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